giovedì 22 settembre 2011

Troy Anthony Davis è stato ucciso




Il video è tratto dal film Dead man walking del 1995, con una grande interpretazione di Sean Penn.

Un grido altissimo di denuncia contro la pena di morte.

Oggi alle 2, ora italiana, nonostante

  • la pena di morte sia universalmente riconosciuta come una barbarie
  • la risoluzione dell'ONU per una moratoria internazionale delle esecuzioni capitali
  • gli appelli internazionali
  • il condannato abbia sempre proclamato la propria innocenza
  • la colpevolezza di Troy Davis fosse basata su un processo indiziario
  • i testimoni al processo abbiano dichiarato di essere stati indotti dalla polizia a testimoniare il falso
  • molti testimoni abbiano ritrattato la loro deposizione

nonostante tutto questo, lo stato della Georgia ha ucciso Troy Anthony Davis.




Avevo trovato in rete una trascrizione (parziale, ma ricca) delle "Riflessioni sulla pena di morte" di Albert Camus, e l'avevo collegato a questo post. A distanza di tempo ho controllato il link, e al suo posto ho trovato la pubblicità di un negozio di scarpe. Sono sconcertata. Questo lo devo a una legge europea sulla proprietà intellettuale. Sono veramente demoralizzata. Qui cerco di diffondere le idee sui diritti dell'uomo e le leggi europee mi negano questa possibilità. Grrrrr

Non mi resta che consigliare la lettura di questo piccolo saggio, molto lucido e illuminante, che deve essere acquistato.

Su Wikipedia la mappa degli Stati del mondo in cui è ancora in vigore la pena di morte.

giovedì 15 settembre 2011

Crescere, crescere, crescere. Crescere?





Tre anni fa, il 15 settembre 2008, la banca Lehman Brothers, la quarta banca americana, annunciava la bancarotta, e, dopo pochi giorni, altri importanti centri della finanza mondiale hanno seguito la stessa sorte. Con un travolgente effetto domino questi eventi hanno scatenato una crisi economica mondiale, che stiamo scontando tutt'oggi.

Il video che vi propongo è una presentazione del film "Inside Job", un documentario scritto, diretto e prodotto da Charles Ferguson, e vincitore dell'Oscar nel 2011, che descrive i comportamenti spregiudicati (per usare un eufemismo) dei centri della finanza, che hanno condotto al tracollo, e ne individua le cause nella politica di deregolamentazione economica avviata, a partire dagli anni '80 del secolo scorso, dagli USA e dalla Gran Bretagna, e poi irradiatasi ovunque.

La deregulation si basa sulla teoria economica neoliberista, che rivendica la liberazione dell'economia dalle ingerenze dello Stato, attraverso la privatizzazione dei servizi pubblici, la liberalizzazione di ogni settore non strategico dell'economia e della finanza, la fine di ogni chiusura doganale.

Secondo i teorici, il libero mercato è in grado di auto-regolarsi, garantendo, attraverso la concorrenza, il progresso e la prosperità per tutti.

Dopo trent'anni di applicazione di questa dottrina possiamo osservare gli effetti che ha prodotto:

  • l'aumento del divario fra i paesi poveri e i paesi ricchi;
  • l'aumento del divario fra poveri e ricchi in uno stesso paese;
  • lo spreco dissennato delle risorse della Terra;
  • la mercificazione dei beni indispensabili alla sopravvivenza delle popolazioni;
  • la negazione del futuro per i giovani, l'elevato tasso di disoccupazione, il super-sfruttamento di chi il lavoro ce l'ha;
  • le guerre;
  • la fuga, quando riesce, dei disperati della terra dalle guerre e dalla fame.

Tutti questi punti meritano di essere approfonditi, e lo farò in futuro. Quello che desidero comunicare ora è che sono allibita quando sento, attraverso i mezzi di comunicazione di massa, che la ricetta per uscire dalla crisi attuale consiste nella ripresa della crescita economica, crescita della produzione e dei consumi. E ce lo dicono tutti: destra, sinistra, centro; industriali, commercianti, sindacati. Ma non è possibile! Non possiamo più crescere, non dobbiamo!

Non è che io sia l'unica a pensarla in questo modo, eh?! Ad esempio, navigando nella rete mi è capitato di imbattermi in questo messaggio in bottiglia, che dice chiaramente: non possiamo più far conto sul petrolio, dovremo utilizzarlo per le necessità primarie. Dobbiamo imparare e re-imparare a risparmiare. Chi si arricchisce con gli sprechi del consumismo non siamo noi.

La crisi che stiamo attraversando è sì una crisi economica, ma anche ecologica e di valori. La crisi potrebbe essere considerata un'opportunità: riconsiderare i nostri stili di vita potrebbe permetterci di vivere meglio. Pensiamoci.

giovedì 8 settembre 2011

Alleati con l'Estasia, in guerra con l'Eurasia. No, il contrario.




Il video che introduce questo post è tratto dal film 1984, un adattamento dall'omonimo romanzo di George Orwell, scritto nel 1948. Qualcuno ha voluto identificare la società descritta da Orwell nell'URSS di Stalin, tuttavia non può sfuggirci quanto gli scenari profetizzati assomiglino sempre più al nostro presente. Spero non al nostro futuro!

Uno degli aspetti principali trattati nel romanzo riguarda la manipolazione delle menti, perpetrata attraverso la costante e martellante presenza di un'informazione, contraddittoria e a senso unico, diramata da schermi onnipresenti. Il controllo è esercitato anche grazie a telecamere che spiano ogni attimo dell'esistenza delle persone. È questo romanzo che ha ispirato il reality 'Il grande fratello' :'-(.

È probabile che in futuro io utilizzi nel blog altri spunti di riflessione da quest'opera, ma ora desidero concentrare la mia attenzione sul tema della guerra.

Il quadro geopolitico disegnato da Orwell è quello di una Terra è divisa in tre grandi potenze totalitarie perennemente in guerra tra loro: Oceania, Eurasia ed Estasia, che sfruttano la guerra per mantenere il controllo totale sulla società. Le guerre si svolgono fuori dai confini dei tre grandi stati, in quelle terre di nessuno e disputate che sono l'Africa centrosettentrionale e l'Asia centrale, e lo slogan che le accompagna è la guerra è pace.


La manipolazione sull'informazione arriva a capovolgere il passato; per esempio, se si ribaltano i fronti e l'Eurasia diventa improvvisamente alleata dopo esservi stati in guerra fino a un momento prima, nessuno deve rilevarne la contraddizione e portare memoria della precedente ostilità, per cui diverrà vero che l'Eurasia è sempre stata alleata dell'Oceania e che non vi è mai stata inimicizia tra i due stati.

Quello che desidero evidenziare, sono le analogie fra questo scenario e il nostro presente.



1) LOCALIZZAZIONE DEI CONFLITTI

La mappa che segue rappresenta gli attuali conflitti in corso nel mondo nel 2011 e il numero di vittime che hanno generato sino ad ora (via peace reporter).


Sono localizzati nelle terre di nessuno di Orwell, quelle in cui le superpotenze si disputano il predominio. E non è indicata la Libia, ad esempio. Non sono mai complete queste mappe.



2) LA GUERRA È LA PACE

La guerra è la guerra, ovviamente. Ma qualcuno ha mai sentito che, a parole, qualche militare dei paesi occidentali sia stato inviato in guerra? Essi partecipano sempre a missioni di pace.

Sono a conoscenza di persone che si recano in zone di conflitto in missione di pace. Non sono armati. Sono i volontari di Medici Senza Frontiere, Emergency, Amnesty International, AMREF e altre organizzazioni umanitarie che si prodigano a favore delle persone, indistintamente, e che non chiedono in cambio concessioni per lo sfruttamento delle materie prime o accordi commerciali per la vendita di ogni cosa, armi incluse (sigh!).


Gli interventi militari sono sempre accompagnati o seguiti da accordi economici, e poi non importa che da questi accordi l'Occidente ne esca più ricco e i popoli 'aiutati' più poveri. Gli affari sono affari, quante volte ce lo ripetono.

Questi, ad esempio, sono gli "Amici della Libia":


Che brutto spettacolo che hanno dato mentre si disputavano il gas e il petrolio libici: a gara per dimostrare chi era 'più amico', e quindi meritorio della fetta più grande.



3) AMICI. NO, NEMICI. NO, AMICI. NO, NEMICI (GHEDDAFI)

Anni '80: Gheddafi è nemico numero uno degli Stati Uniti d'America. La Libia, per Ronald Reagan, è 'stato canaglia'; le Nazioni Unite approvano la Risoluzione 748, che sancisce un pesante embargo economico contro la Libia.

A cavallo del nuovo millennio: l'ONU decide di ritirare l'embargo alla Libia e George Bush di ristabilire pieni rapporti diplomatici. Il governo italiano, ai tempi di D'alema, riavvia rapporti stretti con la Libia, fino a diventare di tenera amicizia nel 2008 con Berlusconi.


Il presente: La NATO, autorizzata da una risoluzione dell'ONU, interviene militarmente a fianco dei ribelli libici, per abbattere il regime di Gheddafi, "alla luce delle gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani".

L'unico mio commento su questo punto è che i diritti umani in Libia sono sempre stati violati, come continuamente denunciato dalla controinformazione, rimasta inascoltata.


Quello che vorrei mettere a fuoco è che la voce dell'informazione è fortemente condizionata da chi possiede i media, e che le voci critiche, laddove possono esprimersi, hanno una debolissima risonanza.